La mia migliore amica mi ha dato un’idea grandiosa e, come al solito, la devo ringraziare: il titolo di questo articolo è una cosa che ha detto lei nel cominciare a leggere “Anita. Storia di un viaggio”, mi ha dato finalmente l’idea per scrivere questo nuovo articolo e per aver il coraggio di raccontare questo viaggio che sto facendo insieme al mio personaggio. Perché è così, io sto viaggiando sia mentalmente che fisicamente con Anita, per far sì che venga letta e distribuita il più possibile nelle librerie e nelle case delle persone.
Voglio che il suo viaggio continui, ma non solo perché ho la presunzione di aver scritto un libro che valga la pena di essere letto almeno da qualcuno, soprattutto per quello che devo al personaggio di Anita.
Anita non è solo mia, non pretendo di essere stata in grado di raccontare una storia tanto universale che valga per tutti, ma credo che Anita possa essere anche di qualcun altro, ecco perché ho raccontato la sua storia.
Anita era una donna di grande coraggio, una donna che credeva fermamente nella propria intelligenza, in un periodo in cui ancora le donne pensavano quasi esclusivamente a trovare marito e a tenere bene la casa. Una delle prime laureate in Medicina a Genova, in un mondo tutto maschile, insieme ad altre tre temerarie come lei. Anita era un medico di successo che svolgeva un lavoro importante, era amata dalle madri dei suoi piccoli pazienti ed ogni giorno si alzava e trovava il coraggio di affrontare la fatica del lavoro, con impegno e dedizione.
Anita aveva tre figli, che ha amato profondamente, ha cresciuto e fatto studiare, e un marito al quale non faceva e non ha mai fatto mancare attenzioni e appoggio. Un marito al quale ha dimostrato la sua intelligenza per tutta la vita e con il quale era in grado di tenere discorsi di politica e di questioni sociali, ma anche di facezie (come avrebbe probabilmente detto lei) e piccole difficoltà quotidiane.
Anita ha affrontato la guerra e non in un paesino di montagna indisturbato, a Genova, una delle città più colpite dalla guerra; era un’impegnata di sinistra ed ha aiutato la sua migliore amica, che era ebrea a salvarsi dalle deportazioni dei nazifascisti.
Quella del viaggio che ha compiuto in bicicletta verso Gorizia nel 1945 è solo una delle piccole cose che ha fatto. Per questo ho scelto di raccontare la storia tutta dal suo punto di vista, perché era una donna straordinaria, nella sua semplicità e nel suo essere sconosciuta ai più, come ce ne sono state tante nel nostro passato.
Anita è un esempio, è quella donna da cui vorrei aver preso anche solo una piccola briciola di coraggio, nell’affrontare le difficoltà della vita. È l’emblema di una donna che ogni giorno dimostra di essere più che meritevole di far parte del genere umano e soprattutto del genere femminile. Non è mai stata una femminista dichiarata, ma nel suo piccolo ha dimostrato una forza e un’autorevolezza che noi donne del 2000 forse ogni tanto vorremmo aver ereditato da lei e da quelle come lei. È una delle pioniere, per noi donne di questo nuovo secolo, che ancora facciamo fatica a farci spazio in un mondo maschile, è riuscita a coniugare lavoro e famiglia non trascurando né l’uno né l’altro e noi ancora adesso ci chiediamo se mai ce la faremo.
Anita non è solo mia, Anita è di tutte quelle donne che ancora oggi devono lottare per la loro emancipazione, per la loro indipendenza, anche intellettuale, per dimostrare le loro capacità, per essere rispettate e perché la loro femminilità sia trattata come un valore aggiunto e non come una sfortuna o una cosa da nascondere.
Io #viaggioconanita e voi cosa fate?